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Vela: LE COLONNE D'ERCOLE : La Repubblica, 13.07.1999 :

La Repubblica 13 luglio 1999
 

Quattro velisti ciechi oltre le colonne d'Ercole Spedizione al di là dello stretto di Gibilterra: "Il vento? Basta sentirlo in faccia. E se Soldini si benda, siamo pronti a sfidare anche lui" dal nostro inviato MAURIZIO CROSETTI GIBILTERRA
- Il vento era forte, fortissimo e contrario. E il mare ribolliva, e le onde prendevano a schiaffi la barca quasi per mangiarsela.

Ma Luigi, Gigliola, Raul e Giovanni sapevano cosa fare, dove mettersi, come muoversi. Luigi, al timone, ha cominciato a guardare il vento anche se i suoi occhi si sono spenti quando lui aveva cinque anni, un incidente di gioco e il mondo gli sparì davanti.

Cosa vuol dire guardare il vento, Luigi? "Vuol dire sentirlo in faccia, ascoltarlo e sapere qual è la direzione giusta". Sentire, ascoltare, guardare senza vedere: si può andare ovunque, così. Anche oltre le Colonne d'Ercole.

Loro infatti ci sono andati. E sono ciechi. Tutti e quattro. Ciechi.

Ieri mattina si sono infilati il giubbino salvagente, hanno fatto l'imitazione del disc-jockey con l'accento piemontese (è il loro modo di caricarsi giocando), li hanno accompagnati al porticciolo di pescatori di Atunara, li hanno aiutati a salire a bordo di "Gloria", un cabinato di otto metri provato appena due giorni prima, senza nessuna tecnologia speciale, senza congegni sonori, senza radar satellitari parlanti, una barca uguale a tutte le altre, quelle costruite per chi ha occhi perfetti.

Poi il loro istruttore Alessandro Gaoso ha condotto "Gloria" fuori dal porticciolo, è salito sulla lancia e li ha seguiti a poca distanza, via radio. Quattro ragazzi ciechi, soli, verso l'Oceano nell'incrocio di venti e correnti che gli antichi chiamavano fine del mondo. Invece un nuovo mondo comincia proprio lì, adesso.

Sono partiti come un siluro o come un delfino, cavalcando la spuma. Hanno doppiato la Punta Europa di Gibilterra dopo un'ora e venti, in anticipo sulle previsioni mentre la sagoma dall'Amerigo Vespucci li accompagnava in controluce, magnifica nel sole del mattino. L'istruttore ha appena corretto la rotta perchè si evitassero ostacoli, però la direzione del vento l'hanno tenuta loro, fino all'approdo di Algeciras.

Quasi eroici, molto normali, parecchio ironici.

"Macchè Ulisse, io sono Fantozzi, stavo per cascare subito in acqua. E non so neanche nuotare". Questa è Gigliola.

Invece questo è Raul: "Io il mare non so cos'è, sono cieco dall'età di tre anni. Non l'ho mai visto ma dentro di me esiste, che importa se poi la mia immagine del mare è diversa dalla vostra? Sapreste forse definire il blu, a parole?".

"In barca non sono cieco, sento la vela dalla tensione delle cime, la guardo con le mie mani". Quest'ultimo è Giovanni. La sua luce è svanita quando aveva 31 anni, glaucoma. Oggi ne ha 38. "Certo che lo ricordo il mare, e i colori, le forme, le nuvole, tutto. Ho frequentato l'Istituto Nautico, poi la malattia. Pensavo fosse finita, invece eccomi qui con le onde in faccia. E il mio sogno ci vede".

Il bello è che non c'è nulla di patetico. "Veniamo subito, finiamo solo la partita a minigolf" aveva risposto Gigliola sabato sera. Minigolf? Si, minigolf. Con un ragazzino a suggerire. "Gigi, tira pianissimo che hai la buca davanti". Niente di patetico, niente di ridicolo.

La serata è finita con una gara di tuffi nella piscina dell'albergo. A forma di fagiolo, altrimenti è troppo facile. Uno si tuffa e gli altri (Gigliola no) dicono dove. Sciano, fanno judo, cliccano su Internet col programma vocale, leggono "Guerra e pace" con lo scanner. Vivono.

E nessuno al mondo va per mare come loro. "Somigliamo agli astronauti di trent'anni fa, facciamo qualcosa di grande ma il messaggio è per tutti, per quelli che vedono e per quelli che non vedono e non escono neanche di casa, per quelli che si vergognano" dice Gigliola. "Bisogna accettare l'handicap senza fermarsi al suo limite. I ciechi devono imparare a superare le Colonne d'Ercole di ogni giorno, ecco perchè siamo venuti a galleggiare qui, tra le Colonne vere".

Nessuno di loro aveva mai messo piede su una barca a vela. Hanno imparato in dodici giorni e adesso vogliono sfidare Soldini. "Purchè lui si bendi".

Adesso vogliono attraversare l'Atlantico, "se troviamo lo sponsor e se ci alleniamo ancora di più" dice Luigi lo skipper.

Veramente uno sponsor ce l'hanno, anzi due, la ditta Camozzi di Brescia e le Cantine della Valtenesi e della Lugana: la sera prima di partire, i quattro hanno stappato una bottiglia di Chiaretto del Garda, l'hanno regolarmente svuotata (nei bicchieri) e poi hanno scritto il loro messaggio, lanciato tra le onde il giorno dopo. "Luigi, Gigliola, Raul e Giovanni, siamo ciechi e abbiamo doppiato Punta Europa, 12 luglio 1999", quasi come la targa dell'Apollo 11 sulla faccia rugosa della luna.

E chi trova la bottiglia (l'etichetta è scritta anche in Braille) vince una settimana di vacanza sul Garda.

"Quando andai per la prima volta a parlare ai ciechi dissi: voi siete capaci di una prodezza ma non lo sapete", racconta Alessandro Gaoso, ex campione del mondo di vela, l'inventore di Homerus, l'associazione che ha insegnato ai quattro a navigare.

Scrisse al velista D'Alema e la risposta arrivò dopo una settimana: risultato, qui si sono mosse la Marina e l'ambasciata. "L'idea mi venne dopo essermi addormentato in barca, eppure l'avevo governata lo stesso". Come sia possibile lo spiega Luigi: "Con rispetto parlando, non si veleggia con gli occhi ma di sedere. La barca, muovendosi, trasmette messaggi al corpo dell'uomo e l'uomo deve trasformarli in movimenti. Ecco perché ci basta il vento".

Il ragionamento non sorprende il capitano di vascello Francesco Rizzo, comandante dell'Amerigo Vespucci: "In mare, la sensibilità… può surrogare anche la vista. E' chiaro che la presenza di ostacoli resta insormontabile senza un rilevatore parlante, ma il progetto esiste. Imprese come questa devono spingere la tecnologia ad abbattere le frontiere, proprio come accadde con i pionieri dello spazio. Di certo è un grande giorno per chi ama il mare. Questi ragazzi hanno vinto le Colonne d'Ercole, simbolo del mistero e della paura".

Eppure sembrava tutto ostile, comprese le previsioni atmosferiche elaborate dal Politecnico di Torino.

Pareva non si potesse proprio raggiungere quello che Dante chiamò il mondo senza gente.

Una barchetta bianca senza occhi era forse una sfida troppo grande agli dèi della rupe, gelosi delle loro correnti.

Però il destino si è spalancato come una porta automatica e li ha fatti passare. Anche se erano ciechi. Anche se a terra camminano in fila, mettendosi la mano sulla spalla per non inciampare.

Ma in mare è diverso. Invece del bastone bianco può bastare un'onda per trovare la strada. Invece del cane, uno schiaffo di vento.

E i loro sogni ci vedono benissimo.

 

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